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IL LATINO BOTANICO

Articolo di Giancarlo Buzio, tratto dai numeri de "Il Giardino Fiorito"
di luglio/agosto/settembre 2001

 

IL LATINO BOTANICO è il linguaggio internazionale usato per identificare in modo certo le piante. Anche l'identificazione delle parti da cui è composta la pianta viene fatta con nomi latini e la descrizione di specie nuove viene fatta obbligatoriamente in latino botanico: pare che uno degli specialisti mondiali di queste descrizioni latine sia uno studioso... indiano.

Il latino è tuttora valido nel campo botanico in quanto lingua sintetica e adatta a descrivere le cose reali. Per le cose astratte, i romani usavano invece parole greche. Il latino botanico è stato superato come lingua scientifica solo dalle sigle attualmente usate in informatica (HTLM, HTTP, ecc.) o nelle discipline mediche (BSE, AIDS, ecc.) che lasciano però perplessi molti utenti, mentre il latino descrive e illumina spesso con esattezza un oggetto ed è perciò usato anche in anatomia, fisiologia e altre scienze. Il latino botanico è per certi aspetti una lingua diversa dal latino classico.

 

IL PASSATO

È una lingua facilmente comprensibile che deriva dai testi botanici di Plinio, che sono per lo studente di latino di facile comprensione: non presentano le contorsioni di Tacito o le ampollosità di Cicerone. Ai tempi di Linneo (1707-1778) il latino medioevale, semplificato e ampliato nei contenuti rispetto a quello classico, non era solo la lingua degli scambi di conoscenza scientifica internazionaIe, ma addirittura veniva usato nella corrispondenza comune e fra le persone colte, anche in famiglia. Linneo scriveva in latino: se avesse scritto le proprie opere in svedese, esse sarebbero state probabilmente ignorate. Le lingue nazionali non erano ancora depurate dai dialetti: quando le persone volevano capirsi veramente fra loro, scrivevano in latino, che era perciò una lingua viva. Ancor oggi, in certe zone dell' Algeria, le cose di grande importanza pratica, come i numeri (nonante!) o il semaforo (feu rouge) vengono espressi in francese. Del resto, ancor oggi, l'italiano colto e correttamente pronunciato è ristretto forse al 10% della popolazione e poco usato anche in televisione, mentre in Francia il francese è ristretto alla regione parigina e comunque al nord della Loira, mentre in Bretagna si parla gaelico e provenzale o occitano, quasi incomprensibili nel Sud, corso in Corsica, e nel nord della Spagna il castigliano è del tutto inutile e sconsigliato.

Il latino botanico introdusse termini greci o altri che non esistevano nel latino classico: ad esempio è inutile cercare nel vocabolario latino termini come achenium, tepalum, sepalum, mentre altri termini come bractea vengono usati con un significato diverso da quello originale. I romani avevano termini per indicare le parti di importanza economica della pianta ma non avevano termini per indicare ad esempio le parti sessuali del fiore, che prima di Linneo non avevano alcuna rilevanza. Non mancano corruzioni ed errori, ad esempio acris non dovrebbe esistere, e cosi palustris, essendo le espressioni corrette acer e paluster. Alcune descrizioni botaniche in latino, se tradotte letteralmente, potrebbero essere di una comicità irresistibile, ad esempio quando contengono termini come pubescens o gynoecio.

 

LA STORIA

Gli studi botanici vennero iniziati da Aristotele. Fu il suo discepolo Teofrasto (370-285 a.C.), che ne ereditò l'orto botanico in Atene, ad arrivare ai concetti basilari della morfologia botanica, descrivendo alcune centinaia di piante coi metodi odierni. Nel primo secolo d.C. venne redatta la Historia naturalis di Plinio il Vecchio che francamente, secondo gli studiosi moderni, è utile solo per capire il coacervo di errori e di pregiudizi su cui si basava la scienza antica. Alberto Magno (1193-1280), vescovo di Regensburg, utilizzò i termini latini di Plinio nella sua opera De vegetalibus libri VII. In seguito, ci si indirizzò sempre più verso un vero e proprio studio anatomico delle piante, reso possibile nel '500 e nel '600 dall'invenzione delle lenti d'ingrandimento, fino a quando Linneo che, si badi bene, era un Doctor medicinae, scrisse nel 1736 un libretto di 36 pagine, Fundamenta botanica, un'opera articolata su 365 aforismi, in pratica 365 massime non dimostrate, secondo il costume dell'epoca. Mantenuta la differenza fra piante lignificate e piante erbacee, Linneo classificò le piante in base al fiore e al frutto (ad esempio la Rosa e la Campanula) rifiutando di prendere in considerazione i caratteri vegetatitvi. Ad esempio, il melo e la fragola vennero messe nella stessa famiglia della rosa.

 

L'ALFABETO LATINO E LA PRONUNCIA

L' alfabeto latino inizialmente comprendeva solo 21 lettere, tutte derivate dall'alfabeto greco (24 lettere) assorbito dalle colonie greche di Cuma e di Napoli. Vennero scartate le lettere aspirate q,  f,  c (theta, phi, chi) che non avevano corrispondenti suoni nel latino antico. Solo in seguito venne introdotta la z  (zeta), mentre altre lettere greche vennero reintrodotte, ad esempio f = ph. W venne introdotto nel latino medievale per translitterare nomi di origine teutonica o celtica. Il latino veniva scritto maiuscolo e le minuscole, che facilitavano la rapidità di scrittura, vennero introdotte con Carlo Magno, mentre il corsivo comunemente usato dalla stampa per indicare i nomi botanici, venne introdotto dai copisti italiani e dalle edizioni a stampa di Aldus Manutius (1450-1515). Non per niente, questi caratteri si chiamano, in inglese, italics.

Il latino botanico è essenzialmente una lingua scritta, ma i nomi scientifici delle piante sono entrati nel linguaggio comune. In Italia crediamo di essere autorizzati a pronunciare il latino all'italiana e ridiamo della pronuncia inglese, tedesca, francese o polacca. In realtà il latino veniva da sempre pronunciato in modo diverso nelle varie regioni dell'ex-Impero romano. È poi noto che i tedeschi, anche accademici, si rifiutano tuttora di pronunciare ad esempio Caesar all'italiana, ma dicono Kesar o a volte Tzesar, mai Cesar. Il latino di chiesa, basato sulla pronuncia dell'italiano moderno, ha poi svolto una funzione unificante, ma in pratica i termini del latino botanico vengono pronunciati così come viene dai giardinieri e botanici di vario gruppo linguistico, mentre solo pochi dotti usano una pronuncia restaurata, che dovrebbe approssimarsi in modo ragionevole al modo di parlare degli antichi romani di classe e educazione elevata. Che fare poi coi nomi che provengono da lingue diverse dal latino o dal greco latinizzato?

Ad esempio Heuchera, dal tedesco, diventa un belI' Oikera, e che facciamo col polacco, ad esempio przewalskii e con i nomi scozzesi?

 

SPESSO IL NOME SCIENTIFICO DI UNA PIANTA comprende un aggettivo derivato da un nome geografico. Anche in questo caso sarebbe in molti casi inutile cercare lumi in un vocabolario del latino classico.

 

Esemplifichiamo solo alcune curiosità e altre cose poco ovvie:

Abatiscellanus, deriva da Abbatis Cella, il cantone di Appenzell (diviso in due semicantoni, cattolico e protestante, fu l'ultimo cantone a dare il voto alle donne).

Allobrogicus, della Savoia ( Colonia allobrogum è Ginevra). Si usa anche sabaudus.

Atlanticus, dalla catena dell'Atlante (vedi Cedrus atlantica).

Baeticus, da Baetia, l' Andalusia.

Biponticus, traduzione letterale di Zweibrücken, città della Saar.

Bonariensis, da Buenos Aires.

Fuegianus, da Terra del fuoco (Terra Ignis, Fuegia).

Hafniensis, da Copenhagen.

Holmensis, da Holmia, Stockholmia.

Ilvensis, da Elba.

Libanoticus, si riferisce al Libano, mentre libanensis si riferisce al Monte Libano, presso Santiago de Cuba.

Olbius, si riferisce alle isole di Hyères.

Panormitanus, da Palermo.

Regiomontanus, da Regiomontum, si traduce letteralmente in Königsberg, ora Kaliningrad (Russia, ex-Prussia Orientale), patria di Kant.

Siniensis (anche chinensis e cathayanus), da Cina.

Si noti che sinienses erano considerate molte specie in realtà originarie del Giappone (japonicus) e viceversa.

Tataricus, con questo aggettivo si indicavano un po' tutte le località dell'Asia, quando non si sapeva dove fossero in realtà.

Valdensis, da Valdensis Pagus, il cantone di Vaud (Losanna).

I romani non si spremevano molto le meningi al fine di inventare nomi geografici per le località del loro impero: cosi troviamo che Londra e Lund (Svezia) hanno lo stesso nome, Londinum, e così pure Lione e Leida (Lugdunum).

Nicea è ovviamente quella che sta in Turchia, ma anche Nizza, da cui nicaensis.

In botanica si notano specie che prendono il nome da Londra (londiniensis), da Parigi (parisiensis, lutetianus), da Praga, Trieste e Zurigo (turicensis) ma, per fortuna, nessuna dalla verdissima città di Milano, dove pure prosperano erbacce che forano qua e là l'asfalto, in genere Amaranthus sp., che ha foglie commestibili come gli spinaci.

 

I COLORI

Per comprendere l'importanza di una definizione esatta dei colori in botanica, basta riferirsi al mondo dei funghi, che sono quasi 30.000 specie. Basta sfogliare i meravigliosi volumi de "I funghi dal vero"  (Ed. Saturnia) di Bruno Cetto che, fra parentesi, non è un medico o un botanico, ma un ingegnere.

In questi volumi, accanto al nome scientifico del fungo si nota una breve spiegazione del nome stesso, che in molti casi chiama in causa un colore. Ad esempio; troviamo I'Hygrophorus puniceus. Perché puniceus? La risposta è molto intricata ma esemplificativa. Puniceus vuoi dire soltanto rosso, non ha a che fare con le guerre puniche. Puniceus si riferisce alla porpora, uno dei luoghi di produzione della quale era la costa punica, ma la porpora, che veniva dalle secrezioni dei molluschi di Murex brandaris nella misura di 1 g ogni 10.000 molluschi, dà luogo in botanica anche a phoenicius, tyrius e porphyreus.

I segreti della produzione della porpora andarono perduti con l'invasione degli arabi che distrussero gli impianti attorno al 700 d.C.: della porpora, segno distintivo degli alti funzionari romani, i figli del deserto non sapevano proprio che farsene.

Sempre per restare al rosso, altri coloranti venivano derivati da alcuni insetti che infestano le querce. Le femmine gravide di uova venivano considerate bacche, kokkos; in greco, da cui deriva il colore coccineo, ma anche vermiglio da vermiculus e carmineus dal sanscrito krmis = verme, in quanto dai kokkos derivavano, alla fine, dei vermetti.

Con il passare degli anni vennero definite delle nomenclature e delle carte dei colori tuttora in uso, fatto che al giorno d'oggi ci potrebbe far sorridere, se si pensa che, anche con un programma da quattro soldi, un computer può produrre più di un milione di colori. Come nel computer, il colore può non essere pieno, ma assumere vari aspetti: marmoratus, maculatus, guttatus, ecc. Altri termini che indicano i colori sono definiti "vaghi", ad esempio pomaceus, capparinus, juniperinus (marrone e blu), un po' come il color sabbia, il blu petrolio o il verde penicillina delle signore.

….

 LE FORME

Con nomi si descrivono anche le forme, ad esempio delle foglie (ovalis) o degli alberi (pyramidalis), i margini (pinnatifidus), le superfici (rugosus), la sostanza (papyraceus), il formato (giganteus), le venature (trinervis), la direzione (obliquus), l'inserimento e altri caratteri. Solo questi termini sono più di 500. In totale, si calcola che il latino botanico comprenda da 5.000 a 7.000 vocaboli.

 

Una lingua molto evoluta e vivace, se si pensa che il tedesco dei montanari sudtirolesi dell'allora assai isolato altopiano di Avelengo si era ridotto, dopo la guerra, a poche centinaia di vocaboli, con cui si indicavano solo le cose di valore pratico, mentre molti montanari lombardo-veneti oggi usano nel linguaggio pratico solo una decina di vocaboli, che si ridurrebbero a zero eliminando le espressioni turpi o blasfeme.



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